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Codec Ramblings - La quarta parete
scritto da Snake Man il 10 Maggio 2014

Un motivo costante nella serie fin dall’ormai lontano 1987 è quello della rottura della quarta parete. Spesso e volentieri MGS ci ricorda che stiamo giocando ad un videogioco, e spesso e volentieri così facendo ci strappa una risata o un’espressione perplessa. Ma è solo la risata lo scopo di questa caratteristica dello stile di Kojima?


La rottura della quarta parete (termine mutuato dal teatro e poi usato in tutti gli altri ambiti artistico-letterari per indicare il “muro invisibile” che separa il pubblico della scena, e quindi, per esteso, la realtà dalla finzione) è una tecnica tutt’altro che rara o “moderna”; già il teatro romano ne faceva uso, l’intero teatro elisabettiano era pressoché privo di questa divisione, e anzi solo nel XVIII secolo si è iniziato a teorizzare seriamente l’importanza dell’erezione (non scenderò in battute così facili, grazie) di un muro che trattenga l’illusione di realtà dell’opera. Le rotture possono avere scopi molto diversi (comicità, provocazione intellettuale, coinvolgimento del pubblico, effetto drammatico, effetto di spaesamento, shock, metafinzione…), e possono essere semplici crepe, come un occasionale ammiccamento alla telecamera, oppure abbattimenti totali, come l’attirare l’attenzione sulla natura del medium, o ancora una specie di provocazione metanarrativa sulla parete e intorno ad essa, come il Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. E io mi sento di affermare che Metal Gear Solid sia più vicino a questi ultimi due casi che a quelle cose che Pinkie Pie e Deadpool fanno in continuazione.

 

Non mi riferisco solo alle scene più eclatanti, come la celeberrima “lettura della mente” di Psycho Mantis, il lancio della dog tag in Sons of liberty, o ovviamente Big Boss e Roy Campbell che ci ordinano di spegnere la console; sono momenti miliari nella storia dei videogiochi, ma sono solo una parte di quello che fa MGS. Gli esempi sono innumerevoli: il team di supporto al Codec che dà istruzioni a Snake in termini di pulsanti e leve analogiche; The Boss e Naked Snake che fanno notare che non possiamo utilizzare l’olfatto e allora dovremo fare affidamento sui nostri istinti di gamers; Miller che suggerisce di camminare furtivamente, cosa impossibile sulla PS1; Otacon che ci dice di cambiare disco e poi si ricorda che sulla PS3 non è più necessario; la sequenza in cui Naomi ci dice che finora per quei soldati la guerra era stata “solo un gioco” mentre sullo schermo compaiono le copertine dei vari Metal Gear; l’indimenticabile “Fission Mailed”; Naomi che ci massaggia con la vibrazione del controller; sono tutti momenti che giocano con la quarta parete, riconoscendo la natura videoludica di quello che stanno raccontando o incorporandola in sé, e che sono presenti continuamente e organicamente in ogni capitolo della serie, quasi come se questa parete che ha disperatamente bisogno di un sinonimo prima che tutte queste ripetizioni facciano sembrare l’articolo il tema di un bambino delle medie non ci fosse affatto.

 

Until that point, war was like a game to them. Stai cercando di dirmi qualcosa, Kojima?

 

Ma sono davvero nient’altro che semplici rotture? Se così fosse, sarebbe sensata e condivisibile la critica di chi dice che, così facendo, vengono spezzate l’immersione, la sospensione d’incredulità, qualunque pretesa di realismo, il tono serio della trama e dei suoi temi in favore di uno più leggero e surreale. Ma se indubbiamente la comicità surreale è un elemento distintivo di MGS, sono convinto che ci sia di più: che non sia solo una rottura, ma una ricollocazione. Quando Psycho Mantis si lamenta che non c’è più la vibrazione nel joypad, o Para-Medic ci invita a salvare la partita, o Baker ci suggerisce di cercare la frequenza di Meryl sulla custodia del CD, la quarta parete viene sì aperta, ma viene immediatamente richiusa alle nostre spalle, e tutto l’apparato che ci interfaccia col gioco viene chiuso con noi. Veniamo invitati a sentirci parte attiva degli avvenimenti sullo schermo, pur lasciando una certa "distanza ironica" determinata dal ricordarci costantemente della parete dietro di noi.

 

Questo però a che scopo? Beh, ovviamente il maggior coinvolgimento dato da una maggiore identificazione col protagonista non può che giovare al godimento della trama, e Shakespeare ci insegna che un contatto diretto fra attori e pubblico può aiutare in questo senso; ma aiuta anche a trasmettere il messaggio dell'opera: ad esempio, già Liquid Snake si rivolgeva anche a noi mentre, stuzzicando Snake sull’eccitazione della battaglia, pronunciava il suo famoso “A te piace uccidere, questo è quanto”. Ma soprattutto, nell’ambito della riflessione metavideoludica che permea MGS2 (e non solo) sembriamo venire più volte invitati (“it’s a game, it’s a game just like usual”) ad essere noi stessi a rompere la parete, a “uscire” dalla finzione per ricordarci che tutto questo non è reale; tema, questo, molto caro a Kojima.

 

Psycho Mantis fa vibrare il controller...

 

La rottura della quarta parete è un trope come altri, e come tale è uno strumento che può essere usato per scopi diversi. Per strapparci una risata, come insegnano Monkey Island e i Monty Python, o per afferrarci per il bavero e urlarci il messaggio dritto in faccia senza mediazione, come insegna Spec Ops: The line, o per farci ragionare sul mezzo artistico stesso. In tutti questi campi, la saga di MGS è maestra, e dimostra le possibilità narrative enormi che sono date dal videogioco. Del resto, potremmo anche fare il passo successivo, e chiederci: può davvero esserci una “quarta parete” in un medium in cui il fruitore è parte attiva nello svolgimento degli eventi?

 

Voi cosa ne pensate? La quarta parete è sempre necessaria, o la sua rottura può avere una forza insostituibile? A che scopo Kojima la infrange così spesso? È una mossa fondamentalmente vincente, o rischia di rovinare l’impatto dell’opera? Quali sono le vostre martellate preferite a questo muro? Venite a discuterne con noi nella community!


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