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Storia di un ragazzo diventato padre di Metal Gear
scritto da .:Meryl:. il 20 Marzo 2015

Quando un ragazzetto ambizioso veniva assunto da Konami per collaborare allo sviluppo dei suoi videogiochi, era il 1986. Nel momento in cui mise le mani su Penguin Adventure, nessuno avrebbe certo potuto immaginare, quanto quel giovanotto sarebbe divenuto un'icona dell'industria videoludica. Quanto, un giorno, il suo nome sarebbe addirittura divenuto un marchio.
A Hideo Kojima Game.


Una firma. Un simbolo. Poche parole, per far sapere al pubblico che tipo di contenuti, con quale tipo di umore – e, sopratutto, quale tipo di maniacale attenzione al dettaglio – avrebbe trovato all'interno della confezione del gioco.

Il ragazzo sarebbe divenuto padre di Metal Gear, nel 1987, inconsapevole che la sua creatura fosse destinata ad un futuro sulla cresta dell'onda. Con il suo piglio riconoscibile, con il passare degli anni, il non-più-tanto-un-ragazzo ha affermato via via sempre più la sua personalità artistica, arrivando a delle vere e proprie messe in scena che non hanno precedenti – e che, verosimilmente, non avranno seguiti. Quella di Moby Dick Studios e Joakim Mogren è, probabilmente, la più grossa trollata nella storia del nostro medium preferito. Identico il discorso per P.T., il playable teaser di Silent Hills, che ora potrebbe avere un destino decisamente incerto.


 

E così, una storia cominciata nel 1986, che ha fatto nascere Metal Gear e che ha reso Hideo Kojima un'icona dei videogiochi, sembra destinata a concludersi, con tutta l'amarezza del caso, entro il dicembre di quest'anno. Quel Metal Gear Solid V: The Phantom Pain che doveva essere la sua opera più ambiziosa, quella cresciuta in grembo con più luce e con le speranze più verdi di sempre, grazie ai nuovi supporti tecnologici, passerà alla storia come il Metal Gear a cui ha fatto seguito la discordia tra sviluppatore e publisher.
Quali siano le motivazioni tanto solide, per Konami, da accettare di perdere (o forse, addirittura decidere spontaneamente di interrompere i rapporti lavorativi) con un elemento come Kojima, rimane per noi fan un impenetrabile mistero.

Ciò che è ben lungi dall'essere misterioso, è quanto questo game designer, in tutte le sue stranezze, le sue iperboli, le sue esagerazioni e i suoi ossimori, sia riuscito a trasmettere a ciascuno di noi.
Un obiettivo raggiunto, una vittoria, per lui, che ha fatto parlare tantissimo di sé, a partire dal 1998, in un gioco che aveva come morale il lascito, rimasto a sua volta indimenticato.
L'eredità. Il qualcosa da trasmettere alle nuove generazioni.
Diceva Kojima, con la voce di Solid Snake:


"Life isn't just about passing on your genes. We can leave behind much more than just DNA. Through speech, music, literature and movies... what we've seen, heard, felt ...anger, joy and sorrow... these are the things I will pass on. That's what I live for.
We need to pass the torch, and let our children read our messy and sad history by its light. We have all the magic of the digital age to do that with. The human race will probably come to an end some time, and new species may rule over this planet. Earth may not be forever, but we still have the responsibility to leave what traces of life we can. Building the future and keeping the past alive are one and the same thing."

Chi ha qualcosa da dire e da tramandare, deve continuare ad esprimersi. In bocca al lupo per tutti i suoi futuri progetti, maestro Kojima.
Metal Gear non è né mai sarà più Metal Gear, senza l'anima di chi lo ha reso ciò che è. 

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