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MGS in Real World - Caso Snowden-NSA e MGS2
scritto da Pasta Eater il 22 Settembre 2013

Il caso Snowden avrà fatto drizzare le antenne a tutti i fan di MGS: un sistema in grado di immagazzinare ed elaborare comunicazioni ed informazioni in tutto il mondo sembra spaventosamente simile a quello  realizzato dai Patriots, in cui potenti intelligenze artificiali dominavano, di fatto, il mondo. Quanto sono vicine realtà e fantasia, e quali sono i rischi del sistema realizzato dalla NSA?


Il piano dei Patriots era probabilmente più ampio e strutturato di PRISM. L’obbiettivo era quello di rendere l’umanità migliore, eliminando tutte quelle anomalie che avrebbero potuto minarne l’integrità ed il progresso, con un automatismo simile a quello del nostro sistema immunitario, che riconosce elementi estranei e produce anticorpi adibiti ad eliminarli. Il programma della NSA risulta invece, alla luce delle informazioni diffuse dalla “talpa” americana, molto meno vasto e complesso: operando tramite service provider come Google, Yahoo!, Facebook (sul suolo statunitense) e sugli hub di rete (in territorio estero) preleva i dati generati dagli utenti, li analizza, ricercando target specifici, riconducibili anche in senso lato a possibili minacce sociali o terroristiche e li archivia.  È del tutto improbabile che la NSA possa eliminare informazioni dal web, ancor meno dai terminali privati; e probabilmente non avrebbe alcun senso farlo, anche a causa del cosiddetto “effetto Streisand”, per il quale il tentativo di censurare un’informazione ne provoca una diffusione probabilmente ancora maggiore. 
La foto della villa di Barbra Streisand cui fa riferimento l’omonimo effetto. Il fatto che la riproponga persino in questo testo significa che questo fenomeno funziona davvero.
 
Per ovviare a ciò sarebbe necessario eliminarne ogni traccia ed impedirne sistematicamente la reimmissione nel sistema. Probabilmente la miglior conferma del fatto che ciò non sia (ancora) possibile alla NSA sono le stesse dichiarazioni di Snowden, che non sono affatto state eradicate dal sistema; anzi, l’ostinatezza con cui gli USA cercano di catturare il giovane ha probabilmente contribuito, in funzione del succitato fenomeno, a diffondere la notizia. Ciò non toglie che, in un futuro magari non molto lontano, la tecnologia non possa davvero permettere questo ed altro: secondo la “legge di Moore” la velocità dei processori raddoppia ogni 18 mesi; trascurando il fatto che non sia effettivamente veritiera, è comunque evidente che la potenza dei processori è in costante e vertiginoso aumento, rendendo plausibile un futuro in cui la NSA sarà effettivamente in grado di gestire in maniera complessa le decine di petabyte prodotte giornalmente, riuscendo ad intervenire tempestivamente e definitivamente; e il fatto che già ora le informazioni prodotte, magari anche questo stesso testo, potrebbero essere state immagazzinate, non fa che rendere più preoccupante la situazione.
 
Ma qual è il problema in tutto questo? Posso immaginare che nessuno di voi lettori sia un terrorista o un assassino, e che il segreto più grande che potete svelare, opportunamente celati dietro un nickname, sia una colossale abbuffata di Nutella (in barba alla dieta). Quindi perché ci risulta così disturbante un controllo totale sui contenuti da noi prodotti in rete? 
Il mio più grande segreto, ora in mano all’NSA.
 
Il punto è che siamo ancora molto legati al concetto di privacy, e consideriamo come una nostra proprietà ciò che creiamo sui social network, come foto, commenti, tweet; anche prescindendo dal fatto che, caricando un contenuto su Facebook, questo diventa legalmente proprietà del colosso comandato da Zuckerberg, bisogna rendersi conto che l’atto del pubblicare qualcosa sul web è da intendersi in senso letterale: rendere pubblico. Una volta in rete, ciò che era esclusivamente nostro diventa, all'atto pratico, proprietà di tutti, in quanto può essere copiato, riprodotto, persino modificato, in meglio o in peggio, con o senza il nostro consenso, da chiunque; spesso non ce ne accorgiamo neanche, né possiamo verosimilmente farlo. Ovviamente non mi riferisco a produzioni intellettuali, protette (anche se in maniera non molto efficace) dalle norme sul copyright, ma di tutti i contenuti, più o meno interessanti, ma sempre pubblicati senza pretesa di protezione legale, che “produciamo” ogni giorno: stati, tweet, foto di pasti (come Kojima ama fare, vedi @HIDEOKOJIMA_IT su Twitter) possono essere “rubati”, manipolati, riprodotti – anche ad un target non previsto in origine. Quindi, ad esempio, il ragazzino che pubblica la foto della sua prima fumata non si lamenti poi con Facebook se la mamma viene a scoprirlo, ma con se stesso, ed impari che ciò che si vuole mantenere privato non va reso pubblico. Un’affermazione di per sé lapalissiana, che pare non essere però così evidente davanti alla casella di immissione di un social network.
 
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